Matematici si nasce o si diventa?
Indubbiamente è una domanda molto semplificatoria, se si pensa a come la matematica sia in realtà una costruzione molto eterogenea e un sistema molto complesso, in cui i processi cognitivi ed emotivi implicati sono tanti: memoria, linguaggio verbale, ragionamento visuo-spaziale, velocità d’elaborazione, creatività e pensiero divergente, controllo degli impulsi…
Troppi bambini sono condizionati a credere di non avere le capacità di apprendere, e fin dai primi anni vengono classificati in categorie difficili da ribaltare. Un famoso studio inglese ha dimostrato che ben l’88% degli studenti che fin dalla scuola d’infanzia vengono giudicati e collocati in una determinata fascia di valore, rimangono ancorati a quel giudizio per il resto della carriera scolastica (Dixon, 2002).
Nella mente di un ragazzo che sta provando difficoltà con questa materia si instaura una sola possibile spiegazione: non sono portato, o comunque ho imparato che non posso. Difficile che metta in discussione il sistema di insegnamento e, anche in questo caso il risultato è il senso di frustrazione, quel fenomeno che prende nome di impotenza appresa.
È evidente che questo ha una ricaduta enorme sulla stessa concezione di sé di un bambino o di un ragazzo, e sulla strutturazione della sua personalità, oltre che sulla direzione dei suoi apprendimenti e dei suoi interessi. È una parte importante del nostro compito educativo fornire un ambiente d’apprendimento differente per la matematica, e avere a disposizione strumenti per smuovere questo senso di impotenza quando ci troviamo di fronte ad esso, fornendo percorsi alternativi.
Questi insomma i motivi per cui la domanda posta all’inizio mi è parsa così rilevante, e le neuroscienze sembrano il luogo deputato a fornirci una risposta. Per quanto l’ipotesi dell’innatismo per la matematica abbia una storia lunghissima, ho scoperto che la risposta articolata e pure ancora aperta che le neuroscienze oggi sono in grado di darci è molto diversa.
Le neuroscienze hanno a disposizione strumenti molto diversi per avvicinare questo tipo di questioni. Tre vie forniscono in particolare indicazioni molto preziose sulle basi delle nostre abilità numeriche: lo studio delle traiettorie del neurosviluppo (tipiche e atipiche), e questo è attuabile fin dai primi mesi di vita, osservando se il bambino è in grado di percepire il numero ed è in grado di quantizzare; la psicologia comparata, che studia se esistono competenze matematiche in altri primati o animali; la ricerca sulle basi neurofunzionali, attraverso le tecniche di neuroimaging.
Il primo grande filone ci offre risposte chiare: esistono abilità numeriche di base, di natura pre-linguistica e non simbolica, presenti nell’uomo fin dalle prime settimane di vita, che vengono variamente indicate come “senso del numero” o “subitizing” (vedi Dehaene, 1992).
Non meno sorprendenti le scoperte del secondo filone, quello legato alla psicologia comparata, in cui ricerche recenti hanno rilevato il senso del numero in varie specie e fornito la sensazionale scoperta che tutti i vertebrati, scendendo fino ai pesci, possiedono delle abilità di riconoscimento numerico di base, seppur rudimentali.
Le più recenti tecniche di neuroimaging infine hanno dimostrato che pensare in termini matematici è qualcosa che ha poco a vedere con il linguaggio verbale e ciò che caratterizza i matematici non è una maggiore dotazione innata del senso del numero, ma solo una maggiore connettività tra aree differenti.
E dunque...fondamentale è come insegniamo questa materia, quali azioni mettiamo in campo per nutrire la matematica (felice espressione di Daniela Lucangeli), e come forniamo un ambiente adatto a questo delicato sviluppo, fatto di funzioni neurocognitive diverse, che ha bisogno di tanti ingredienti differenti.